Il concetto di terapia forestale si sviluppa in Giappone a partire dallo studio del fenomeno del karōshi, termine nato nella cultura nipponica ad indicare la “morte per il troppo lavoro”.
Già a partire dagli anni ottanta, l’Agenzia Forestale giapponese propone una nuova soluzione, il Shinrin-yoku (letteralmente “foresta-bagno”), attività consistente in una profonda immersione nella natura che stimoli l’attenzione consapevole della mente e dei cinque sensi. La pratica prevede l’ascolto dei rumori di un bosco, l’osservare la luce, le sfumature dei colori e il respirarne i profumi; tutte azioni, queste, volte a stabilire un contatto con il contesto naturale della foresta in cui ci si trova immersi per tutta la durata della pratica.
Suddetti studi si riferiscono prevalentemente alla frequentazione libera delle foreste, in assenza di eccezionali sforzi fisici; in questo contesto si parla di bagno di foresta, o forest bathing, derivato dal già citato Shinrin-yoku. La cosiddetta terapia forestale è invece un’attività molto più strutturata, dove la guida di personale formato è elemento fondamentale, così come programmi a lungo termine che prevedano ripetute sessioni in foresta, talvolta dirette a specifici gruppi. L’esposizione alla foresta riduce l’attivazione del sistema nervoso simpatico – responsabile della risposta attacco o fuga – e aumenta quella del sistema parasimpatico, generando uno stato complessivamente più rilassato. La regolazione del sistema nervoso autonomo è inoltre responsabile di una regolarizzazione della pressione sanguigna e della variabilità della frequenza cardiaca (Ideno et al., 2017). Questi risultati sono particolarmente importanti, considerando che i disturbi cardiovascolari rientrano tra i problemi di salute attualmente più presenti nella popolazione, e importante causa di morte e disabilità in tutto il mondo (Han et al, 2020).
Dagli studi emerge un particolare meccanismo omeostatico, dipendente dall’immersione in foresta, che regolarizza parametri eccessivamente elevati o, al contrario, inferiori alle soglie minime indicate, in termini di pressione sanguigna e battito cardiaco. È interessante notare come tali aggiustamenti fisiologici si registrino solo in aree forestali, mentre questo, a parità di esercizio fisico, non accade in aree urbane (Song et al., 2015). L’insieme di questi effetti promuove inoltre il miglioramento della qualità del sonno, con riduzione dei momenti di veglia dall’inizio del sonno e il leggero aumento del tempo totale di riposo (Grigsby-Toussaint et al., 2015; Kim et al., 2019). Come si vedrà, il contatto con la natura favorirebbe la riduzione dell’incidenza di alcune psicopatologie, spesso collegate ad alcuni fattori di rischio già citati, quali la deprivazione di sonno e lo stress cronico. Anche il sistema endocrino beneficia dell’azione di ambienti naturali, generando a sua volta effetti sul sistema immunitario in modo indiretto, con conseguenze sui livelli di alcuni ormoni, come cortisolo, adrenalina, noradrenalina, serotonina e dopamina (Antonelli et al., 2019; Park et al., 2020). Il responsabile di questa rete di regolazioni reciproche è il sistema psico-neuro-immuno-endocrino, che descrive l’influenza di fattori psicologici che possono agire sulla funzionalità del sistema immunitario.
Si è visto che lo stress, se nel breve termine aumenta la forza della risposta immunitaria, quando diventa cronico è invece responsabile dell’abbassamento delle difese immunitarie (Segerstrom & Miller, 2004). Secondo la letteratura, lo stress interferisce con l’attività dei linfociti, aumentando così la vulnerabilità a infezioni virali e batteriche (Dhabhar, 2011). Si tratta di un problema quanto mai attuale, connesso ai ritmi troppo spesso estenuanti che la società moderna impone. A questo proposito, l’Associazione Psicologica Americana ritiene che lo stress cronico sia collegato alle sei principali cause di morte (malattie cardiache, cancro, malattie polmonari, incidenti, cirrosi epatica e suicidio). Tuttavia, si può tentare di trovare delle soluzioni. Una di queste è rappresentata dal contatto con la natura.
Da ulteriori studi emerge come il sistema immunitario possa beneficiare dell’immersione in natura, esperienza che favorirebbe la produzione e l’attività dei linfociti NK o natural killer: si tratta di cellule del sistema immunitario che sono responsabili del riconoscimento e della distruzione di cellule tumorali, danneggiate oppure infettate da virus (Tsao et al., 2018). Da alcuni studi emerge chiaramente come i disturbi mentali siano prevalenti nella popolazione delle aree urbane; questo è particolarmente vero per i disturbi d’ansia e quelli depressivi (Weich et al., 2006). Un intervento nella direzione del contatto con ambienti naturali dev’essere allora particolarmente sollecitato in tali contesti. Tuttavia, nonostante gli indubbi benefici che la terapia forestale possa portare, questo concetto è ancora relativamente nuovo in molti paesi. La maggior parte delle ricerche sta avendo luogo in Giappone, dove l’enfasi si è sposata anche su prospettive psicologiche e psicosociali. Diversi studi effettuati su giovani universitari dimostrano che sia sufficiente un periodo di tempo di 15 minuti trascorso in ambienti forestali per ottenere benefici dal punto di vista del miglioramento dell’umore e di rigenerazione da fatiche mentali (Bielinis et al., 2018), mostrando come idealmente basti un minimo sforzo individuale per migliorare il proprio benessere. Tali risultati sono visibili soprattutto in soggetti con tendenze depressive (Furuyashiki et al., 2019). Un’altra ricerca sottolinea che anche i sintomi di depressione, ansia e stress si abbassano notevolmente in seguito a programmi di terapia forestale, in questo caso della durata di cinque settimane consecutive (Vujcic & Tomicevic-Dubljevic, 2018). Di recente il Club Alpino Italiano (CAI), in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e il CERFIT di Firenze ha ripreso questo tema al fine di ottimizzare i potenziali benefici derivabili dagli ambienti forestali afferenti al CAI. Con il progetto congiunto CAI-CNR “Terapia Forestale” ci si pone l’obiettivo di sviluppare una rete di stazioni qualificate destinabili a sessioni di terapia forestale. Le evidenze scientifiche dimostrano come l’applicazione della terapia forestale sia in grado di riequilibrare il sistema nervoso autonomo, modificando alcuni parametri fisiologici e migliorando l’umore, con la riduzione dei maggiori stati emotivi negativi legati ad ansia, rabbia, ostilità, depressione, fatica e confusione. Il contributo di alcune ricerche sui notevoli effetti benefici anche sul sistema immunitario apre la strada alla concreta possibilità di introdurre il mondo occidentale all’utilizzo delle prescrizioni verdi, strumento già ampiamente in uso in paesi asiatici.
Antonelli, M., Donelli, D., Barbieri, G., Valussi, M., Maggini, V., & Firenzuoli, F. (2020). Forest Volatile Organic Compounds and Their Effects on Human Health: A State- of-the- Art Review. International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(18), 6506.
Kanai, A. (2009). “Karoshi (Work to Death)” in Japan. Journal of Business Ethics, 84(S2), 209-216.
Song, C., Ikei, H., & Miyazaki, Y. (2019). Physiological effects of forest-related visual, olfactory, and combined stimuli on humans: An additive combined effect. Urban Forestry & Urban Greening, 44, 126437.
Vries, S. de, Have, M. ten, Dorsselaer, S. van, Wezep, M. van, Hermans, T., & Graaf, R. de. (2016). Local availability of green and blue space and prevalence of common mental disorders in the Netherlands. BJPsych Open, 2(6), 366-372.
Tania Re
Cattedra Unesco “Antropologia della Salute, Biosfera e Sistemi di Cura” – Università degli Studi di Genova
Vittoria Varetti
Specializzanda in Psicologia Clinica e di Comunità – Università degli Studi di Torino
Articolo tratto da: Farmacista33