Le orchidee (famiglia Orchidaceae) rappresentano il gruppo di piante da fiore più ampio e diversificato. Originarie delle zone tropicali e subtropicali di Asia, America centrale e America del Sud, per la loro bellezza, per la diffusione cosmopolita, e per l’elevata capacità di adattamento alla quasi totalità degli habitat, con l’eccezione delle aree desertiche e delle zone glaciali, la coltivazione delle orchidee a livello commerciale è in grande espansione nel mondo, e sta generando occupazione nei Paesi in via di sviluppo.
Nel 2020 il mercato globale delle orchidee è stato valutato pari a 5.152,1 milioni di dollari americani, e dovrebbe raggiungere i 7.051,3 milioni entro il 2027 con un tasso medio annuo di crescita (CAGR, Compound Annual Growth Rate) del 4,6% (https://www.alltheresearch.com/report/735/orchid-market).
La bellezza del fiore
Tanto da meritarsi l’appellativo de “Il fiore degli dei” (Berliocchi, 1966), le orchidee sono piante affascinanti per le loro infiorescenze lussureggianti, sensuali e misteriose. L’epoca in cui hanno avuto origine è controversa, ma è stato suggerito che sia 80-40 milioni di anni fa (Mya), dal tardo Cretaceo al tardo Eocene (Dressler, 1993).
I metodi di coltivazione tradizionale e, recentemente gli approcci biotecnologici hanno contribuito allo sviluppo di nuove varietà commercializzate come fiori recisi e piante propagate artificialmente caratterizzate da molteplicità di forme accattivanti e colori di straordinaria bellezza.
Se ne conoscono circa 30,000-35,000 specie [The Plant List, http://www.theplantlist.org/ (2019)], il 73% delle quali sono epifite (i due terzi della flora epifita del mondo), mentre circa il 25% sono terrestri (Atwood, 1986; Hsu et al. 2011; Vendrame e Khoddamzadeh, 2017).
Come con tutti gli altri organismi viventi, le orchidee odierne si sono evolute da forme ancestrali come risultato della pressione selettiva e dell’adattamento. La ricchezza di forme e colori dipende dalla diversità di strategie riproduttive ed ecologiche specializzate tra le quali un posto di primo piano è rivestito da interazioni specifiche tra fiori di orchidea e insetti impollinatori (Cozzolino & Widmer, 2005), da meccanismi di deriva genetica e selezione naturale (Tremblay et al. 2005), da interazioni obbligate tra piante di orchidea e micorrizze (Otero & Flanagan, 2006) e da epifitismo (Gravendeel, 2004).
Poco conosciute sono invece le specie spontanee, come quelle che vivono in Europa e nel bacino mediterraneo, tutte geofite, cioè con organi sotterranei che ogni anno emettono la parte aerea che produce i fiori. Tra le nostre orchidee proprio il genere Orchis ha dato il nome all’intera famiglia, per la forma dei due bulbi che ricordano due testicoli (appunto orchis in greco). Assai più piccole delle orchidee esotiche coltivate, mostrano una altrettanto elevata complessità di forme e colori che impreziosisce il patrimonio naturalistico del territorio che le ospita.
In Italia ne sono state identificate circa 200 tra specie e sottospecie, distribuite dalle Alpi alle isole, con un’alternanza di fioriture da gennaio a ottobre a seconda delle specie e dell’habitat (G.I.R.O.S., Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee, 2009-2016).
Non solo ornamentali
Generalmente conosciute per i bellissimi e delicati fiori, le orchidee sono meno note per l’uso in medicina che di fatto, sta acquisendo importanza solo ai giorni nostri. I generi chiave delle orchidee medicinali sono Ephemerantha, Eria, Galeola, Cymbidium, Cypripedium, Nevilia, Thunia, Bletilla e Anoctochilus (Szlachetko, 2001), e diverse nuove varietà ottenute con le moderne tecniche di coltivazione (Gutiérrez, 2010; Pant, 2013).
Le prime prove documentate sugli usi medicinali delle orchidee e sui loro effetti benefici sulla salute risalgono a 3000-4000 anni fa in opere letterarie giapponesi e cinesi (Reinikka, 1995; Bulpitt, 2005).
Ampiamente utilizzate nella medicina tradizionale cinese, specie come Dendrobium macrae, Orchis latifolia ed Eulophia campestris, e diverse altre, erano anche usate in Ayurveda nel sistema tradizionale indiano, ma molte altre specie erano note per le loro proprietà benefiche anche in Europa, Africa, America e Australia (Hossain, 2011; De et al., 2015). La medicina tradizionale cinese ha suggerito l’uso di routine di Bletilla striata, di diverse specie di Dendrobium e di Gastrodia elata componenti di preparazioni note rispettivamente con il nome di “Bai-Ji”, “Shi-Hu” e “Tian-Ma” per curare varie malattie.
In particolare, D. nobile era usato per le malattie renali, polmonari e dello stomaco, per la febbre, la bocca secca, il gonfiore, l’iperglicemia, la gastrite atrofica e il diabete. I tuberi di B. striata erano ampiamente utilizzati per la cura della tubercolosi, oltre che per la cura di gastriti e ulcere duodenali o sanguinamenti e pelle screpolata di piedi e mani. G. elata si dimostrava efficace per trattare mal di testa, vertigini, intorpidimento e crampi degli arti, emiplegia, epilessia, spasmi, emicrania, reumatismi, vertigini, nevralgie, paralisi facciale, disfrasia, convulsioni infantili, lombalgia, febbre, ipertensione e altri disturbi nervosi. Altri usi in Cina, Mongolia e Giappone comprendono purificazione del sangue, trattamento di pus, foruncoli, ascessi, gonfiori maligni, ulcere, e cancro al seno (Chen et al., 1994; Hossain, 2011).
Inoltre, la letteratura ayurvedica riporta l’uso di Habenaria intermedia, Malaxis muscifrea, Habenaria edgeworthi e Malaxis acuminata nella formulazione ayurvedica “Chyavanaprasha”, una gelatina che contiene un’alta percentuale di vitamina C, molti acidi grassi essenziali e diversi composti bioattivi (Singh e Duggal, 2009). Le proprietà medicinali delle orchidee sono infatti attribuite alla presenza di diversi metaboliti secondari dipendenti dalle specie e dalla provenienza geografica. In diverse orchidee medicinali ne sono stati identificati circa 300 tra cui più di 100 alcaloidi, flavonoidi, terpenoidi, chinoni, fenantreni, lignani e derivati dell’acido malico, succinico, tartarico e citrico (Gutierrez, 2010).
Gli effetti benefici di questi composti sulla salute umana comprendono attività antinfiammatorie, neuroprotettive, antimicrobiche, antitumorali, ipoglicemizzanti, antireumatiche e cicatrizzanti (Gutierrez, 2010; De et al. 2015; Aswandi & Kholibrina 2021). La validazione degli effetti è stata effettuata in molti casi mediante l’uso di saggi su cellule in vitro ed esperimenti su animali, generalmente topi (Kuo et al., 2009; Gutierrez et al., 2011). Ad esempio in uno studio preclinico Khouri e collaboratori (2006) hanno indicato l’efficacia dell’estratto vegetale di Orchis anatolica sulla fertilità nei topi maschi. In un altro studio è stato riportato come i componenti dell’estratto di Scaphyglottis livida, abbiano avuto un effetto rilassante sulle contrazioni cardiache nei topi (Saleem, 2007) e di come terpenoidi, saponine, alcaloidi e altre sostanze bioattive caratterizzanti l’estratto di un’orchidea terrestre, Eulophia epidendrum, abbiano dimostrato significative proprietà antinfettive e cicatrizzanti nei ratti (Maridass et al., 2008; Maridass, 2011). Inoltre diversi esperimenti condotti ancora su topi o diversi tipi di cellule di topo in vitro mostrano come i costituenti bioattivi di varie specie di Dendrobium esercitino funzioni epatoprotettive e immunomodulatorie (Ng et al., 2012). G. elata e i suoi principi attivi gastrodina, gastrodioside, vanillina, â-sitosterolo, alcol vanillilico e alcol ñ-idrossibenzilico sono stati inoltre ampiamente utilizzati nei ratti per il trattamento di reumatismi, disturbi cerebrali, malattie infiammatorie e mal di testa (Liu et al., 2002; Lee et al., 2006).
Recentemente un numero crescente di composti bioattivi, per lo più fenoli e flavonoidi, è stato isolato da diverse specie di orchidee e ne è stata analizzata la capacità di inibizione in vitro della proliferazione di linee tumorali del cancro della cervice uterina, di tumore al polmone e tumore al cervello. I risultati di questi esperimenti hanno indotto gli autori a suggerire una decina di specie di orchidee, in particolare D. longicornu, D. transparens, Rhyncostylish retusa e Vanda cristata come fonte potenziale di nuovi farmaci per il trattamento di forme aggressive di tumore (Pant et al., 2021).
Articolo tratto da: farmacista33 del 17 maggio 2022
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Patrizia Bogani
Dipartimento di Biologia